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“Dove vai piccola?” “Vado al Coq Rouge” “Ciao ciao Amelie”, e il suo cappottino rosa si allontana con i movimenti multicolor delle calze in lana e degli stivaletti rossi: passi incerti di una piccola meraviglia con la mano assicurata in quella del padre tra mura di neve pari alla sua altezza.

Giochi da cani nella piazza del municipio, mentre le luminarie ballano assieme al freddo impetuoso vento, la nera cioccolata scalda il cuore solitario e la neve trova sempre il modo per farci ricordare e sorridere.

Una terra di contrasti: di valli e rocce, di case nere e bianche, un drammatico romanticismo a là Friedrich, dove l’uomo affronta la natura rispettandola, dove il poco è tanto nonostante le orde fameliche di mostri dell’Est siano l’orrido specchio dell’opposto.

E non smette di venir giù… Forse è la piccola Amelie che perpetua questo miracolo, attraverso i suoi infantili occhi per donarlo ad altri infantili animi.

  

  

  

Per continuare, tramandare, ribadire, si rimane, stringendo i denti, e quando qualcuno di tanto in tanto avvalla le nostre scelte ci rende infinitamente felici.

  

  

  

E’ quasi fatta.

Il tempo di una salita e si alzano note di vento caldo: non c’è già più nulla. Maledetto Natale Haitiano.

Un padre, un amico…

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Camminando sulla accecante linea tra terra e cielo, comprendendo la fatica, respirando lo spazio visivo che si apre di fronte a noi: nel posto più in alto, lungo la spina dorsale degli Appennini.

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Gocce d’acqua, disperse nel sole.

Cascata Grande della Morricana   Morricana 

Morricana - Acque   Fosso della Morricana

Pizzo di Moscio

“Acthung bitte!”

Alberi, alberi, alberi: all’infinito. I dintorni dell’aereporto di Francoforte sono un continuo copia incolla di piante verdi intervallate da specchi d’acqua e lucidi palazzi di vetro e cemento. Una vista poco più che rapidissima, causa cambio celere del gate del secondo volo, e dopo solo 40 minuti siamo già in dirittura d’arrivo al piccolo aereporto Tegel di Berlino. Sul bus verso il centro la mano è indolensita, ma ha fatto il suo dovere stringendo quella di chi mi era affianco, confortandoci a vicenda per una paura del volo mai superata, se non con la rassegnazione del momento. La torre della tv si staglia kitsch nel cielo Berlinese, azzurro e ben terso, in netta contrapposizione con una città cantiere e delle strade dal sapor Italico, se non fosse per la quantità spropositata di bici. L’impatto è ottimo, anche se per ora le sensazioni sono solo dettate dall’asettico Ovest, verso cui ci dirigiamo, con Brautwurst e birra Berliner in mano: intorno, come già testimoniato altrove nei weekend dell’Europa del Nord, anche qui, comportamenti carnascialeschi attraverso l’Unter den Linden, lungo viale alberato fino al cospetto della porta di Brandeburgo. Giunti nel punto più lontano possibile nella notte, Potzdamer Platz, senza ricorrere ai mezzi, la stanchezza ci trascina sonnolenti verso il caldo ligneo dell’ostello in zona Alexander Platz, dove con gli occhi semichiusi ci lasciamo cadere sull’agognato giaciglio per la notte, in attesa di una lunga giornata di cammino, ignorando il gradasso palestrato di figli dello zio Sam e lo starnazzo delle loro concubine.

 

Mauer

Ore 7:30, sveglia e giù tra le pigre luci del mattino a far colazione, pasto che ci tenga su fino al primo pomeriggio. In una Domenica deserta ci spostiamo verso Nord-Est per scontrarci con la realtà del muro attraverso testimonianze cartacee, multimediali o semplicemente visive al memoriale nei pressi della stazione NordBahnhof, murata in guerra fredda e completa di indicazioni in caratteri gotici e stanze popolate di fantasmi, come congelata nel tempo. L’atto del ricordare ci violenta, prendendo atto del piccolo lasso di tempo passato dal termine della pazza idea di voler separare un unico popolo attraverso mattoni e lastre di cemento a delimitare una linea di 40 metri di puro terrore: una catena di morti e dolore, ingiustificata ed ingiustificabile, fino al 1989, ai miei 7 anni di età, memore delle immagini in tv e delle cartine scolastiche con le due Germanie. L’inclemenza del tempo ci spinge a visite riparate nei musei, seguendo senza volerlo il tracciato del muro fino dietro a Potzdamer Platz, nel Kulturforum: appagati, seduti su di un tappeto socialista distendiamo i tendini e pianifichiamo un pomeriggio nuovamente indirizzato alla memoria. Tornando verso l’Est serpeggia onnipresente il segno di tempi drammatici: un anziano bohemien commosso al di sopra delle macerie di palazzi, nucleo nero delle SS, sotterrate volutamente da tonnellate di grigia pietra alla Topography of Terror; il sorriso amaro delle Trabant nei pressi del Checkpoint Charlie; la claustrofobica struttura strappata al ferro dello Jüdisches Museum. Uno stancante, seppur bellissimo, ripasso di sussidiaro che necessita di una sana dose diabetica di cioccolata nei pressi di Gendarmenmarkt, al cospetto delle cattedrali gemelle, prima del definitivo ritorno nei pressi dell’alloggio, passando attraverso Bebelplatz, teatro del rogo dei libri in periodo Hitleriano e l’isola dei musei.

 

Farewell

Niente è come sembra, tutto è come appare: nella nebbia affrontiamo la nostra ultima mattinata passando dai riflessi infiniti della cupola del parlamento di un popolo che non ha finalmente nulla da nascondere, con i suoi uffici e appartamenti completamente esposti alla pubblica visione, al cuore blu racchiuso nella nera gabbia della neo chiesa di fronte alla Kaiser Wilhelm Gedächtniskirche. Nel pomeriggio sfogliamo nuovamente il nostro libro unico delle scuole elementari addentrandoci nelle enormi stanze del Pergamonmuseum e tra le labirintiche esposizioni del Neues Museum, entusiasmante quasi più per il contenitore, testimone di guerra, che per il contenuto. Riuscendo ad evitare l’assalto di cornacchie carnivore e passerotti affamati dei nostri currywurst, raggiungiamo la East Side Gallery e le sue opere, tesi nel tragitto per l’inatteso scontro con la vera Berlino Orientale, per nulla differente da una periferia di qualsiasi città dell’Europa ex-comunista, tristemente degradata e piovosa, perlomeno nel nostro immaginario. A sera, dal ponte verso l’ultima S-Bahn, si apre Berlino alla vista: due mondi in uno, una città-nazione scissa, un microcosmo creato nel laboratorio della politica inesperta, imprudente, visionaria e malata, egoistica per definizione. Berlino, infine risollevata ed in continua evoluzione…

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