Da una sinistra che non esiste più, se mai è esistita, e da una destra bavosa per rabbia repressa e viscida fame, in un paese che sembra mantenere la necessità di essere governato dalla mano forte di una dittatura, vengon su flaccidi politici che fagocitano le labili voglie costruttive o di ricerca del nuovo di una popolazione senza midollo: fatto sta che l’Italia rimane un bellissimo paese, magari destinato alla completa distruzione ma con romanticismo e lacrime come sempre. Piccole spie di intolleranza qua e là, davvero drammatiche nella mente di un giovane di venti anni, che dovrebbe essere il manifesto della tolleranza, mentre vigliaccamente si rifugia nel facile odio verso gli altri: tra l’altro la giustizia ed il suo non funzionamento di certo non aiutano. Tutto attorno lentamente crolla e marcisce a causa di campalinismi ed interessi personali a supporto di un accumulo di inutilità materiali: una “roba” di Verghiana memoria restaura mentalità al limite del Regno delle due Sicilie. Fuggire non è una soluzione ma un cheat, un trucchetto di bassa lega, la testa sotto la sabbia dello struzzo: la resistenza, la vera resistenza del 2000 è rinunciare e ripartire dal poco, quasi niente, ma l’Italia è rococò, purtroppo.

Imborghesiti e a tratti snob sono quegli Italiani che culturalmente e per sottofondo educativo familiare esprimono un essere di sinistra estremamente ironico ed autocritico quasi cercando ogni giorno, senza mai riuscirci, di trasformarsi nel peggiore dei revisionisti destrorsi: costoro sanno che possono essere solo rosati o bordeaux e in fin dei conti vedono più difetti nella destra che pregi nella sinistra. Gli Offlaga Disco Pax, nonostante tutto l’ambiente che si son creati e che li circonda, possono ricadere facilmente in questa categoria qualunquista, populista, menefreghista ed accidiosa: parole che piacciono tanto ai nuovi pensatori illuminati della rete, così sul pezzo e pronti a ragionare in codice binario.

“Bachelite” è il loro ultimo cd in ordine di tempo, molto più prodotto del primo Socialismo Tascabile e più denso di contenuti, sia lirici che musicali. Proprio l’aspetto lirico copre gran parte del discorso che si può affrontare su questo gruppo Emiliano dato che il cantante in realtà non canta, ma narra dei fatti, delle idee o dei ricordi, in maniera scarna senza ricercare frasi arzigogolate o rime ad effetto: tutto potrebbe sembrare arduo e ostico, ma con la solita fiducia necessaria per assimilare nuovi generi (nuovi per noi), si tende a voler sentire come vanno a finire le storielle suburbane raccontate da Collini. La spinta decisiva verso l’acquisto è data da delle basi perfette come accompagnamento ai temi trattati: se si potesse ascoltare solo l’aspetto musicale rimarrebbe comunque un gran bel lavoro, degno dei migliori Lali Puna. Il cd si apre con il suono delle vecchie cassette analogiche poco prima di “Superchiome”: da quel primo suono, dal testo della canzone e dalla musica stessa spesso ci troviamo di fronte a campionamenti, musicali e culturali, rubati di peso dagli anni 80; Superchiome dopotutto “è nata al tempo del punk” e l’intera canzone si sviluppa sulla descrizione della ragazzina di vent’anni particolarmente odiosa. L’avvio quindi dichiara subito gli intenti del gruppo: citazioni eighties tinti di rosso a gogo e musica elettronica, con una sana nostalgia di quei bui periodi. “Ventrale” porta ad alti livelli l’aspetto melodico mentre il paroliere narra le gesta di Vladimir Yashenko a forti tinte politiche sempre smorzate dall’ironia imperante, disarmata e disarmante: il suono del moog è semplicemente perfetto per il compito che deve svolgere. In un ambiente quasi più comico si muove “Dove ho messo la Golf?”: nonostante sia musica Italiana (personalmente allergico) posso osare dire che alcuni passaggi musicali sono dei veri capolavori, mentre il testo, una piccola commedia, mostra un piccolo cedimento quando si passa su livelli ancora una volta politici (“Lula”), qui un po’ forzati. La basi migliori sono quelle delle due seguenti “Sensibile” e “Lungimiranza”: la prima per un intimismo rotto qua e là da aperture e chiusure sintetiche fino al cambio solare sul finale, la seconda per gli strappi sulla chitarra, delle vere e proprie interruzioni del suono, a dir poco irresistibili. I testi sono agli antipodi: in Sensibile la protagonista è Francesca Mambro, con accenni al suo rapporto con Giusva Fioravanti ed ad una dubbia colpevolezza per la strage della stazione di Bologna (“Qualche anno fa un giudice chiese a Francesca perchè lo scelse come compagno di vita. A questa domanda rispose con una frase da ginnasio nichilista, lapidaria, nel senso di lapide: “Giusva era il ragazzo più sensibile che avessi mai incontrato”. Che razza di tipacci fossero gli altri ragazzi che aveva frequentato non ci è dato sapere. Di sicuro Francesca con gli uomini non è stata fortunata, e la parola “sensibile” resta dubbia e ambivalente come il coinvolgimento dei NAR per i fatti del 2 agosto 1980.”); in Lungimiranza invece si parla di due personaggi, il cui nome non ci è dato sapere, “due futuri eroi della canzone Italiana” ai quali in tempi non sospetti non avresti dato nemmeno un centesimo (ndr. la rete suggerisce Ligabue e Capossela). Segue l’acquerello Emiliano a tinte fosche di “Cioccolato I.A.C.P.” che viene dipinto attraverso la traccia più lunga dell’album, quella dal finale più commovente (se ascoltate Socialismo Tascabile vi spiegherete il Toblerone): il paese degli Offlaga, descritto in parte all’interno di questa canzone, Cavriago, è una piccola Leningrado e pare quindi troppo chiedere testi senza cenni politici ma l’accenno nostalgico e pasionario è sempre al posto ed al momento giusto, non risultando, se non davvero raramente, stancante e banale. Piace pensare che dopo la loro comparsata in Ascoli Piceno (i tempi riporterebbero) abbiano composto la seguente “Fermo!”, anche se è la composizione meno riuscita dell’opera, ciò nonostante un discreto tappeto sonoro ed un testo simpaticamente ispirato al Chirocefalo del Marchesoni nel Lago di Pilato, simbolo di un’ultima resistenza. “Onomastica” è l’unico esperimento che si discosta dalla canzone parlata: alienante e corrosiva, trova un’ottima commistione di elettronica e parole in libertà. La chiusura è affidata a “Venti Minuti”, con base indietronica intima e fanciullesca, a sottolineare i tristi ricordi narrati, senza rime e musicalità della parola, ma solamente grazie alla poesia perfetta che solo una storia di vita vissuta può restituire.

Consigliato a a chi solitamente è ben disposto ad ascoltare prima di cestinare.

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Felice, scrivo meno.